venerdì 17 ottobre 2008

TERZO GIORNO

Dicevamo dell’idilliaca Plan. Un’enclave nel parco naturale del gruppo di Tessa. Una trentina di alberghi nuovi. Impianti di risalita. Sciovie. Funivie. Parcheggi. Cemento. “Nella disgrazia”, pensavamo, “saremo accolti bene”. Tutto chiuso. L’albergo segnalato dalla guida come ristoro per i pellegrini dell’Alta Via è chiuso per ferie. Tutti gli altri sono immersi nel buio. Un signore, proprietario di un albergo che si differenzia dagli altri in quanto illuminato, poco ma illuminato, fa finta di non capire l’italiano, ma ci segnala con strani fonemi che è in riposo settimanale. Giulia non ne può più di quelli che fanno finta di non capire l’italiano o non lo capiscono veramente. Quando incontra qualche sudtirolese che le rivolge la parola in tedesco lei gli risponde: “Non capisco il tedesco”. Allora, 90 per cento dei casi, la persona le dice: “Ah, lei è italiana?” Giulia va su tutte le furie: “Anche tu sei italiano!” Ma non c’è peggior sudtirolese di chi non vuole sentire. Troviamo miracolosamente ospitalità nella pensione di una signora piena di bambini e di giocattoli di plastica colorata. Dopo la nottata in rifugio è un passo indietro. Stanze high tech arredate grazie a qualche ikea locale. Niente stube, niente pareti di legno, niente quintali di crocefissi sui muri. Ma confortevole. E poi non ci possiamo permettere il lusso di fare gli schifiltosi. La mattina partiamo presto. Non vediamo l’ora di abbandonare questa nicchia di turismo di massa. Il nostro idillio con Plan non migliora quando attraversiamo un campo appena innaffiato con cacca di mucca. Non ci dà fastidio il profumo di eau de merde, quello è gradevole. E’ il cartello che troviamo alla fine: “Vietato calpestare l’erba”. “Ma chi te la vuole calpestare la tua erba di merda?”, pensiamo all’unisono. Diciamo la verità, la pessima accoglienza ci ha messo di malumore. Incontriamo cartelli con scritte scolpite in italiano e tedesco. Ma le scritte in italiano sono state cancellate con lo scalpello. I sudtirolesi sono molto ospitali, veramente, anche con gli “italiani”. Ma qualche coglione rischia di rovinare tutto. Viene voglia di scalpellare anche le scritte in tedesco. Scendendo lungo il fiume Plan incontriamo una palestra di roccia spettacolare e perfino una pista per lo slittino da competizione. D’estate, immersa nell’erba, assume un aspetto spettrale. Vediamo finalmente due caprioli e uno scoiattolo. “Quando lavoravo a raccogliere le mele a Gargazzone”, dice Giampaolo, “vedevamo un casino di caprioli”. “Anche io a Masetti, se è per questo”, faccio il ganzo. Anche oggi poca acqua. Giulia ha male al ginocchio ma continua con grande stoicismo. La passeggiata nel bosco da Plan ad Ulvass dovrebbe durare qualche ora ma noi andiamo pianissimo e ce ne mettiamo sei. Andiamo tanto piano che Giampaolo comincia a rimuginare una sua idea di fare un’Alta Via anche da noi. L’Alta Via di Lavarone. Sembra convinto. “L’Alta Via di Lavarone”, sogna ad occhi aperti. “Con quello che guadagneremo ce ne andremo sull’Alta Via delle Maldive”. Giampaolo è fatto così. Quando gli viene un’idea parte per la tangente. Ma dimentica Gargazzone. Arriviamo ad Ulvass dove non c’è né da mangiare, né da bere, né da dormire. Proseguiamo per Cresta. La vegetazione è cambiata. Siamo sui 1200 metri. Pioppi, faggi, betulle, tigli si sono aggiunti agli abeti rossi. Il panorama è su quella parte della Val Passiria che porta al passo del Rombo. Passiamo per Gögele. Giulia sostiene che si tratta della versione sudtirolese di Google. Scrivi un nome sui muri e vengono fuori migliaia di indirizzi web. A Cresta veniamo accolti da persona ospitale. Ed è subito canederlo. Sul canederlo prima o poi bisognerà fare un discorso. Ma io lo mangio ingordo e sprofondo nel sonno all’istante. Che il canederlo sudtirolese, cioè quella mappazza a forma di palla da biliardo, indigeribile e gnucca, possa avere effetti soporiferi lo escluderei. Quindi vuol dire che sono proprio stanco. Qualche secondo prima di cominciare a russare sento da lontano le parole di Giampaolo. “Quando lavoravo a raccogliere mele a Gargazzone”, dice con convinzione, “ i canederli erano proprio come questi. Una mappazza”.

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