mercoledì 15 ottobre 2008

secondo giorno

Giampaolo si è presentato alle sette e mezza con un'ora e un quarto di anticipo sull'appuntamento. Dice di essersi alzato alle 4, di essere partito alle 4,30. Di essere arrivato al parcheggio alle 6,40. Resta il mistero: come ha fatto a percorrere in 50 minuti il tratto iniziale che noi ieri abbiamo percorso in un'ora e mezza? "Sono molto in forma", ci dice vantandosi. Solo il pomeriggio, alla terza birra, confessa che ha accettato il passaggio di una bella signora in SUV.
Dopo fugace ma abbondantissima colazione partiamo. Attacchiamo il Passo Gelato, Eisjoch, 2885 metri. Valtrude, l'ostessa, si è sciolta, ha fatto le foto con noi e ci ha chiesto di aiutarla ad ottenere una connessione telefonica. Ci ha preparato 7 panini con speck, formaggio e salsiccia. Mi collego avventurosamente con Internet e vedo che Di Pietro ha detto che "non bisogna guardare lo stuzzicadenti nell'occhio degli altri..." Con questa visione drammatica in testa, prima di partire leggo qualcosa sul Parco. Il nostro giro ne percorre all'incirca il perimetro. Forse 100 km, forse 80. Speriamo 80. Grande ricchezza di flora e di fauna. Giampaolo dice che incontreremo sicuramente la passera scopaiola. Io gli faccio notare che incontreremo anche il merlo acquaiolo, il succiacapre, il codirosso e il rampichino silvestre. Ma lui sembra interessato solo alla passera scopaiola. Giampaolo ha un'epoca mitica della sua vita alla quale fa riferimento continuo. Dice: "Quando lavoravo a raccogliere mele a Gargazzone". Quando Giampaolo lavorava a raccogliere mele a Gargazzone succedeva tutto. Anche che vedeva centinaia di passere scopaiole.
Partiamo. Risaliamo la valle del Posse, una valle profondamente scavata da antichi ghiacciai. Pareti ripidissime a "v" spinto. Ideale per le slavine. La valle del Posse ha molta storia, molte leggende, molti miti. La peste nel XVIII secolo. Il maso Rableid distrutto da una slavina. Il maso Gelato distrutto da un incendio. E poi tutte le malefatte del caprone diabolico, del mago stregone, degli omini di ghiaccio. C'è anche un fantasma, l'anima inquieta di un frate certosino, dannato perché aveva mangiato carne contro la regola.
Saliamo verso il rifugio Petrarca lentamente. Non vediamo animali ma solo impronte di camosci nella neve fresca. I tornanti sono molto ripidi ma il nostro eroismo non prevede cedimenti. Ci mettiamo tre ore. In cima il rifugio è chiuso. Sapevamo di dover proseguire fino a Plan. Altre tre ore. E' aperto però il bivacco, uma graziosa casetta con otto posti letto, stufa e generi di primissima necessità. In pratica caffè solubile. Decidiamo per una sosta lunga, due ore. Abbiamo finito l'acqua. La ricaviamo sciogliendo una pentola di neve e ci facciamo il caffé. Proviamo l'ebbrezza del cellulare che, in cima ad una roccia, raggiunge le quattro tacche. La salita è stata dura ma la discesa è tremenda. Il ginocchio sinistro di Giulia ne risente. La neve è tanta sul sentiero e si scivola. Una faticaccia anche per le ginocchia sane.
Incontriamo pochissimi italiani. Moltissimi tedeschi. E qualche sudtirolese. Lingua madre ovviamente il tedesco.
Durante la salita c'erano molte sorgenti. Lungo la discesa nemmeno una. Senz'acqua, come Dio vuole arriviamo alla malga Lazins dove incontriamo il nonno di Heidi che spacca legna in un giardino brulicante di nanetti che suonano la fisarmonica. Siamo a pochi km da Plan. Le guide dicono che si tratta di una località idilliaca turisticamente sviluppata. Se il raffronto per quanto riguarda il carattere idilliaco viene fatto con Sesto San Giovanni, niente da dire. Ma l'idillio tra noi e Plan non scatta.
Giampaolo si è presentato alle sette e mezza con un'ora e un quarto di anticipo sull'appuntamento. Dice di essersi alzato alle 4, di essere partito alle 4,30. Di essere arrivato al parcheggio alle 6,40. Resta il mistero: come ha fatto a percorrere in 50 minuti il tratto iniziale che noi ieri abbiamo percorso in un'ora e mezza? "Sono molto in forma", ci dice vantandosi. Solo il pomeriggio, alla terza birra, confessa che ha accettato il passaggio di una bella signora in SUV.
Dopo fugace ma abbondantissima colazione partiamo. Attacchiamo il Passo Gelato, Eisjoch, 2885 metri. Valtrude, l'ostessa, si è sciolta, ha fatto le foto con noi e ci ha chiesto di aiutarla ad ottenere una connessione telefonica. Ci ha preparato 7 panini con speck, formaggio e salsiccia. Mi collego avventurosamente con Internet e vedo che Di Pietro ha detto che "non bisogna guardare lo stuzzicadenti nell'occhio degli altri..." Con questa visione drammatica in testa, prima di partire leggo qualcosa sul Parco. Il nostro giro ne percorre all'incirca il perimetro. Forse 100 km, forse 80. Speriamo 80. Grande ricchezza di flora e di fauna. Giampaolo dice che incontreremo sicuramente la passera scopaiola. Io gli faccio notare che incontreremo anche il merlo acquaiolo, il succiacapre, il codirosso e il rampichino silvestre. Ma lui sembra interessato solo alla passera scopaiola. Giampaolo ha un'epoca mitica della sua vita alla quale fa riferimento continuo. Dice: "Quando lavoravo a raccogliere mele a Gargazzone". Quando Giampaolo lavorava a raccogliere mele a Gargazzone succedeva tutto. Anche che vedeva centinaia di passere scopaiole.
Partiamo. Risaliamo la valle del Posse, una valle profondamente scavata da antichi ghiacciai. Pareti ripidissime a "v" spinto. Ideale per le slavine. La valle del Posse ha molta storia, molte leggende, molti miti. La peste nel XVIII secolo. Il maso Rableid distrutto da una slavina. Il maso Gelato distrutto da un incendio. E poi tutte le malefatte del caprone diabolico, del mago stregone, degli omini di ghiaccio. C'è anche un fantasma, l'anima inquieta di un frate certosino, dannato perché aveva mangiato carne contro la regola.
Saliamo verso il rifugio Petrarca lentamente. Non vediamo animali ma solo impronte di camosci nella neve fresca. I tornanti sono molto ripidi ma il nostro eroismo non prevede cedimenti. Ci mettiamo tre ore. In cima il rifugio è chiuso. Sapevamo di dover proseguire fino a Plan. Altre tre ore. E' aperto però il bivacco, uma graziosa casetta con otto posti letto, stufa e generi di primissima necessità. In pratica caffè solubile. Decidiamo per una sosta lunga, due ore. Abbiamo finito l'acqua. La ricaviamo sciogliendo una pentola di neve e ci facciamo il caffé. Proviamo l'ebbrezza del cellulare che, in cima ad una roccia, raggiunge le quattro tacche. La salita è stata dura ma la discesa è tremenda. Il ginocchio sinistro di Giulia ne risente. La neve è tanta sul sentiero e si scivola. Una faticaccia anche per le ginocchia sane.
Incontriamo pochissimi italiani. Moltissimi tedeschi. E qualche sudtirolese. Lingua madre ovviamente il tedesco.
Durante la salita c'erano molte sorgenti. Lungo la discesa nemmeno una. Senz'acqua, come Dio vuole arriviamo alla malga Lazins dove incontriamo il nonno di Heidi che spacca legna in un giardino brulicante di nanetti che suonano la fisarmonica. Siamo a pochi km da Plan. Le guide dicono che si tratta di una località idilliaca turisticamente sviluppata. Se il raffronto per quanto riguarda il carattere idilliaco viene fatto con Sesto San Giovanni, niente da dire. Ma l'idillio tra noi e Plan non scatta.

2 commenti:

Isabella Guarini ha detto...

Mi sembra di leggere antiche croniche descritte dai viandanti medioevali, dopo la caduta dell'Impero Romano. A ripensarci potrebbe essere la descrizione, nell'era globale, del viaggio di Dante, nei tre luoghi della sua Commedia: discese ripide infernali, poi ristori con birra e passaggi in SUV con belle signore (diciamo Beatrix), poi ancora sublimi vette nell'aere celestiale. Siamo noi che non possiamo uscire dal nostro inferno metropolitano. CSF ci spiazza sempre, ma lui è in fondo magnanimo con i lettori e riesce sempre a regalare momenti di evasione, anzi di distrazione, con i tempi che corrono!

Vale ha detto...

Tutta la mia ammirazione. La mia massima camminata è camera da letto-salacontantodidivano